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7.5.10

IL BOSS E L' ITALIANA - 16^ PARTE



Si continua con il racconto di Sharonlacorta.  Vi raccomando di non perdervi il post di domenica, son molto curioso del risultato.



Capitolo V

Mancava poco a Natale. L’atmosfera era greve, irrespirabile, si tagliava col coltello. Nora cercava in tutti i modi di filtrare per i suoi figli un natale lieto, fatto di preghiere, di merende con biscotti e latte caldo, di profumo di arancio e cannella, di stufa accesa… l’albero luccicava fuori in giardino. Ma suo marito stava lentamente cambiando registro: i loro rapporti erano sempre meno cordiali e sempre più afflitti da risposte secche, frizioni e pungenti dispetti. Che infantilismo fastidioso. Ma doveva essere brava e superare tutto questo, per amore dei suoi figli. Perciò, d’accordo – una volta tanto – col suo ex marito, decise di invitarlo a cena per la vigilia, in modo che i bambini vivessero, per la festa più importante dell’anno, una parvenza di normalità. Invitò anche i suoceri (con sua suocera era riuscita malgrado tutto a mantenere un rapporto di estrema sincerità e di discreta armonia), così per i bimbi sarebbe sembrato tutto almeno vagamente normale.
Mentre durante l’antivigilia preparava alcune delle pietanze che avrebbe servito la sera successiva, lo sguardo le cadde sulla bottiglia di marsala che aveva usato per fare la marinata del ripieno del tacchino. La tristezza che aveva provato vedendo Bruce partire poche settimane prima non l’aveva più abbandonata. Un sorso di qualcosa l’avrebbe tenuta su.
Guardò sulla credenza: c’era un’ottima bottiglietta di Rosso Fojaneghe. La aprì e se ne versò un bicchiere. Buono… Nonostante la sua vena creativa in cucina fosse alimentata dalla sua depressione e dalla disperazione causata dalla brutta piega che aveva ormai preso il suo matrimonio e la gestione dei bambini, sentì il bisogno di consolarsi con quel bicchiere. E con tutti quelli che gli vennero appresso.

La cena di natale, gastronomicamente fu un successo. La presenza dei suoceri stemperò l’atmosfera tesissima tra lei e Alessandro. Riuscì a non bere troppo, ma si accorse di come indugiava nel piacere della bottiglia quando era sola, i bambini a letto, la tv accesa in sottofondo. Ormai praticava poco lo yoga, un vero peccato per una dedicata come lei.
Una sera quando la bottiglia era ormai vuota, il fine settimana e la depressione alle porte, iniziò a frignare da sola, nel salotto. I bambini non c’erano: quel weekend se li sarebbe tenuti il padre, anche se non gli spettava. Mentre non riusciva a capire dove sarebbe potuto annegare il suo dolore, se nelle lacrime o nell’alcol, suonò il suo cellulare. Era Bruce.

“Ehi… - iniziò lui, tutto romantico e sussurato – sono io…”
Nora, singhiozzò rumorosamente, tirò su col naso, poi deglutì, sempre rumorosamente.
“Ehi” un tono che celava a malapena il suo disagio.
Bruce si “svegliò” dal suo torpore romantico.
“Nora! Che succede??!”
“Niente… n-niente”
Biascicava, riusciva a stento a pronunciare le parole in modo comprensibile.
“Gesù, Nora!! Che succede?? Stai male?? Parlami, per carità!”
“S-sto bene… bene. Sono solo un po’… tris-triste”
“E’ successo qualcosa?? Dimmi cos’è successo!!”
“No…” Nora, il viso deformato da un’orribile smorfia, iniziò a piangere in silenzio.
“Prendo il primo aereo. Domani sera al più tardi sono lì”
“No! Lascia stare, perf-perfavore!...”
La linea era già chiusa.
Cercare di richiamare si rivelò l’impresa più difficile della sua vita… Tutto era così confuso. In effetti non ci riuscì. E puntualmente Bruce suonò al campanello circa 24 ore dopo.

Aveva ancora bevuto. E non c’era modo di nasconderlo. Aprì la porta, gli occhi lucidi, di dolore e alcol, l’equilibrio non molto stabile sulle gambe. Quando la vide Bruce inorridì. S’era sparato 10 e passa ore di viaggio e per di più andando a prendere l’aereo di corsa per… una sbronza? Il primo acchito fu di provare una rabbia gelida. Poi la guardò meglio. Non era solo sbronza, era… disperata. Entrò in casa, un po’ rigido, poco disponibile ad un abbraccio o ad un bacio. Se c’era una cosa che odiava in una donna era l’ubriacatura. Quindi avrebbe dovuto appellarsi a tutte le sue forze per superare questo suo blocco e cercare di capire cos’era successo alla sua compagna.
“La stufa è accesa?” chiese.
Nora fece cenno di sì. Bruce la accompagnò in soggiorno e la fece sedere su un divano, quasi fosse lui il padrone di casa. Si tolse il giaccone, lo appese, poi si sedette vicino a Nora. Il tepore iniziò ad entrargli piacevolmente nelle ossa e a stemperare leggermente la tensione che si era frapposta tra loro. Si frugò nelle tasche, e non trovando nulla si alzò nuovamente per tornare al giaccone e tirarne fuori un fazzoletto. Si sedette nuovamente vicino alla donna e le soffiò il naso e le asciugò gli occhi, come fosse stata una bambina. Lei intenerita, e sempre più soccombente all’incipiente ubriacatura, si rimise a piangere. Bruce l’accolse tra le braccia, stringendola e confortandola con carezze e piccoli baci tra i capelli. Nora si lasciò andare, facendosi scuotere dai singhiozzi senza alcun ritegno.
“Su… su…” Bruce cercò di staccarla da sé e le passò il fazzoletto, che lei non usò.
“Sono tanto triste!! – piagnucolò – Ale mi tratta di merda e io devo fare buon viso coi bambini!! E’ stato un natale di merda! Di merda!!!!!!!” fu la rabbia alla fine a parlare per lei.
“Calmati, per favore” Bruce si guardò intorno.
“Dove sono i bambini?”
“Da lui”
“E perché? – si chiese, dato che conosceva bene le alternanze delle visite – non dovrebbero essere con te?”
“Sì, ma siccome lui ha detto che ultimamente sono nervosi perché si vede che io sono fuori di testa, allora ha detto che li avrebbe presi lui, perché con lui stanno meglio!!”
“Non è vero. Con te sono bravissimi. Perché non gli hai detto niente?”
“Perché non voglio fare scenate davanti bambini!!!” urlò rabbiosa Nora.
Bruce tacque. Comprese che non sarebbe stato facile dirimere quella faccenda. Cercò in ogni caso di raccogliere ancora qualche informazione.
“Quanto hai bevuto?”
“Io non ho bevuto…” mentì spudoratamente lei.
“Nora. – la voce si indurì, divenne quasi un ruggito, il nome proferito a denti stretti, come in un tentativo di trattenere la forza che lo avrebbe portato a schiaffeggiarla – Non prendermi per il culo. Quanto hai bevuto? Non te lo chiederò un’altra volta”
Nora lo guardò, gli occhi lucidi e pesti da cucciolo bastonato.
“Credo… quasi un paio di bottiglie”
“Di cosa?”
“Vino rosso”
“Ok, non è il massimo ma c’è di peggio. Vieni con me”
La prese per mano. Poi si voltò nuovamente verso di lei.
“Ricordati: non raccontarmi mai palle. Mai”
Nora lo guardò imbronciata. Poi abbassò lo sguardo. Si sentì come una bambina che l’aveva combinata grossa.

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