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16.4.10

IL BOSS E L' ITALIANA - 13^ PARTE



Tredicesima parte del racconto scritto da Sharonlacorta.

Buona lettura e buon fine settimana.



Bruce si fece portare in città da Jon e poi, sotto un blando incognito, iniziò a girarla in lungo e largo, da solo. Pochi, anzi pochissimi accennarono a voltarsi e ad indicarlo, per poi scuotere la testa in diniego: no, non poteva essere lui, impossibile. Ebbe modo di apprezzarla e di capire come mai Nora amava quel posto. Mise in pratica il suggerimento e visitò per un lungo pomeriggio il Museo di Arte Moderna e Contemporanea, divenuto famoso a livello europeo. Vide, e Nora gliene aveva accennato, la pista ciclabile e constatò che per quel breve periodo di vacanza avrebbe potuto anche tenersi un po’ in forma correndo e andando in bicicletta lungo il fiume. Nel fare la strada di casa Jon si perse e passarono di fianco allo stadio. Uno stadio piccolo, che però bastò per risvegliare dentro di lui la voglia di suonare e possibilmente davanti a un assembramento di fans urlanti. Gli venne un’idea. Poi però mentre Jon cercava di orientarsi, parlando quasi da solo ad alta voce, Bruce capì che il capoluogo regionale era ad un tiro di schioppo da lì. Chiese a Jon di accompagnarlo. Arrivato in città, ormai a sera, cercò di capire dove potessero essere le strutture (stadio o palazzetto) che potessero potenzialmente accogliere un evento di una certa magnitudo. Jon fu di grande aiuto e dopo un’occhiata veloce allo stadio, decise di tornare verso casa di Nora.



Sotto il portico bussò alla porta d’ingresso. Gli aprì Evan.
“Nora sta facendo yoga…” gli disse sottovoce.
Bruce sorrise.
“Davvero? E’ in camera tua?”
“Già…” Evan fece strada piano e silenziosamente socchiuse la porta che comunque era solo accostata. Bruce rimase dapprima shockato. Dov’era finita la faccia della sua fidanzata??!! Poi si accorse che Nora stava praticando la posizione della candela. Lentamente cambiò l’appoggio delle mani sui fianchi e fece calare le gambe, formando un ponte. Poi, ancora lentamente appoggiò i lombi al tappetino, cambiò nuovamente la posizione delle mani, mettendole di fianco alle orecchie e si eresse nella posizione della ruota. Fu allora che lei lo vide.
“Oh! Ho quasi finito!”
Bruce uscì. Poteva davvero fare quelle cose? Incredibile…
“I bambini sono in casa?” chiese ad Evan.
“Sono di sopra a giocare… o a guardare un cartone, non so”
“Vado un momento da loro”
Passando di fianco alla cucina si accorse che il tavolo era apparecchiato… per tutti. Quella sera, per la prima volta, avrebbe avuto una sorta di reale esperienza “familiare” con lei e i suoi affetti e quelli di lei.
Fece capolino in una delle due camere dei bimbi e non trovò nessuno. Bambole, qualche orsetto di peluche… era la stanza di Emma. Provò nella stanza di fianco: un caos epico, macchinine (per lo più rotte), costruzioni, Chinook acciambellato sul tappeto e due creature, con lo sguardo calamitato dalla tv. Stavano guardando Topolino.
“Ehi ciao”
I bimbi si guardarono. Poi fecero un timido cenno di saluto.
“Guardate Topolino! Che bello. E vi piace? Cosa sta dicendo Topolino?”
I bimbi si guardarono ancora, poi lo guardarono perplessi: non avevano capito quel che Bruce aveva detto loro.
Bruce non si arrese.
“Già… la lingua, non ci avevo pensato”
Si chinò verso un mucchio di macchinine semi distrutte e mimò una specie di corsa con incidente e rumore inquietante di lamiere contorte… Andrea mollò Topolino istantaneamente e si fece coinvolgere nel tremendo incidente a catena che Bruce stava simulando. Emma li ignorava. Dopo una decina di minuti Nora arrivò.
“Ehi!! Che bello, giochi con i miei bimbi!”
“Perché, tu non lo fai?”
“Devo ammettere che lo faccio di rado. Ceniamo? E’ già quasi tutto pronto. Bimbi!! – strillò, anche se erano a meno di un metro – Pappa!!”
Stranamente silenziosi si sedettero a tavola. Senza chiedere nulla Nora iniziò a servire la cena dentro i piatti. Recuperò le ultime cose – acqua, un po’ di vino, parmigiano grattugiato, il pane – poi si sedette a tavola.
“Buon appetito!”
Bruce guardò nel piatto. Non aveva mai fatto lo schizzinoso in vita sua di fronte al cibo ma era quantomeno curioso… Due pallottole fumanti leggermente bitorzolute, della dimensione di due arance, lo fissavano dal brodo dentro il suo piatto. Nora stava spezzettando la stessa cosa nei piatti dei bimbi. La sua aria interrogativa suscitò in lei una leggera ilarità.
“In italiano si chiamano canederli. In tedesco knödel. Sono gnocchi di pane, con speck e cipolla… Assaggia, eretico: vedrai che ti piaceranno”
Evan, che aveva seguito con concentrazione scientifica la spiegazione di Nora si tuffò nel suo piatto, che in men che non si dica fu vuoto.
Tra una portata e l’altra, Bruce decise che dopo cena avrebbe cercato di esternare l’argomento concerti. Era leggermente timoroso, l’esperienza recente gli aveva insegnato che il suo impegnarsi per lavoro anche quando… non era proprio indispensabile, creava attriti.
Aveva già suonato in arene piccole. Ma gli piaceva da matti l’idea di suonare nel “cortile” di casa della sua nuova ragazza. Accipicchia. Anche il vino era buono…
Dopo cena Nora salì in camera dei bambini per metter loro il pigiama e passar del tempo con loro. Bruce ne approfittò per illustrare ad Evan il suo “piano”.
“Suonare qui?”
“Che te ne pare?”
“Papà… hai suonato in qualsiasi buco di posto in qualsiasi angolo del mondo… che differenza fa cosa penso io?”
Preoccupato Bruce gli chiese:
“Secondo te si arrabbia?”
Evan lo guardò.
“Alla mamma non l’avresti chiesto”
“La mamma è una professionista. Nora è una casalinga”
“Questo è vero. Però si ha comunque la sensazione che tu stia rispettando una più dell’altra”
“Ok. Allora faccio di testa mia”
“Come sempre papà. Come sempre”
Bruce si scocciò.
The Boss. Aveva sempre odiato quel nomignolo, ci si era suo malgrado abituato quando aveva notato che anche i suoi fans lo avevano entusiasticamente adottato. Ma il fatto di sentirsi accusato di essere prepotente come un principale lo metteva di cattivo umore.

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